Moderati da Sebastiano Triulzi, Hervé Le Corre, Jérôme Loubry, Franck Thilliez e Jean-Paul Vormus, hanno dialogato sulla letteratura di genere (e non) francese.

Il tricolore blu, bianco e rosso ha sventolato a Milano nelle diverse location del Noir in Festival. Il Raymond Chandler Award a Guillaume Musso, la presentazione di tre novità editoriali come C’era due volte di Franck Thilliez, L’ombra del fuoco di Hervé Le Corre e Perché hai paura? di Jérôme Loubry, i film nel Concorso Internazionale, Earwig (in co-produzione con Regno Unito e Belgio) di Lucile Hadzihalilovic, Inexorable (in co-produzione con il Belgio) di Fabrice Du Welz, Vanishing (in co-produzione con la Corea del Sud) di Denis Dercourt e, tra i contendenti del Premio Caligari, La terra dei figli (in co-produzione con l’Italia) di Claudio Cupellini, hanno certificato l’estrema vivacità artistica francese.

E duque era più che doverosa una riflessione ad ampio respiro sul polar, ossia su quel genere che in un certo senso corre in parallelo col noir statunitense e il giallo italiano. Così, moderati da Sebastiano Triulzi, i già citati Hervé Le Corre, Jérôme Loubry, Franck Thilliez, insieme a Jean-Paul Vormus, direttore del Festival Polars du Sud di Toulouse, hanno dato vita a un incontro che aveva il proposito di (ri)definire la vitalità di un genere che pur essendo un punto di riferimento non può assorbire interamente esperienze artistiche tra loro molto eterogenee.

«Sotto il termine polar possiamo individuare molti generi – ha spiegato Vormus –, come il poliziesco, il noir e il thriller. E poi ci sono tante altre sotto-categorie come il polar di ambientazione rurale o che tende alla ricostruzione storica. Si dice che il romanzo poliziesco risalga a Edgar Allan Poe. Col passare del tempo, il genere si è modernizzato, si è avvicinato alla vita dei lettori, mentre prima ne era molto più distaccato. Il noir di proveniente statunitense è nato negli anni Venti con Dashiell Hammett. Era l’epoca della grande depressione, del crollo di Wall Street, tempi in cui regnava la violenza e la corruzione. Solo nel Dopoguerra, in Francia, si iniziò a tradurre i vari Chandler, Thompson e lo stesso Hammett. La grande svolta avviene tra la fine degli Sessanta e l’inizio dei Settanta, con l’irruzione di Jean-Patrick Manchette, lo scrittore considerato l’iniziatore del polar».

«Per quanto riguarda la differenza tra romanzo poliziesco e noir – ha proseguito Vormus –, è molto difficile classificare i romanzi e scegliere da che parte metterli. Ad esempio, narratori come Le Corre quando scrivono seguono un’idea. È soltanto dopo che avviene la catalogazione, cioè quando qualcun altro decide di dare un’etichetta ai libri, di collocarli in uno scaffale di una libreria. Borges diceva che gli scrittori più che di un genere parlano delle persone che poi leggeranno i libri».

Sollecitati da Triulzi, i tre scrittori hanno risposto alla domanda se considerare il polar un genere usurato che sconta l’inevitabile passare del tempo o se invece sia capace di resistere e rinnovarsi. «Non ritengo affatto che il polar possa essere considerato come un genere invecchiato –  ha risposto per primo Thilliez –. Se penso agli autori francesi, trovo che vi sia un enorme dinamismo. Sono in grado di scrivere polar attraverso tutte le declinazioni possibili del genere. Ad esempio il polar rurale che si riferisce a luoghi che generalmente sono ignorati e che non compaiono mai nei notiziari. Il polar è molto concentrato anche su argomenti di stringente attualità. Il romanzo poliziesco è praticamente una foto di ciò che accade. Poi c’è chi preferisce comporre degli enigmi, o dei thriller oppure dei racconti realistici su un dipartimento della polizia come la Scientifica».

«Prima esisteva il romanzo marsigliese – ha esordito Loubry –, ora i polar parlano di qualsiasi argomento, di sociologia, di religione, di filosofia. E ho l’impressione che all’estero questi romanzi abbiano molto successo. Anni fa andavano di moda gli scrittori nordici. In questo momento mi sembra che si stia imponendo la letteratura di genere francese».

«Sono d’accordo sulla questione del dinamismo del genere – ha ribadito  Le Corre –, ma ciò che mi interessa di più è il dinamismo della letteratura francese in generale, al di là del polar. Da lettore, ho l’impressione che di fronte a una società che diventa giorno dopo giorno sempre più violenta, e non parlo solo da un punto di vista criminale ma anche e soprattutto da quello sociale, sia l’intera letteratura a contaminarsi. E questa è una cosa di cui si sono resi conto gli editori che hanno accolto un tipo di narrativa posta sul limite tra una cosiddetta letteratura “bianca” e una “noir”. L’interesse per questo genere che sosta su una specie di frontiera, si sta diffondendo. E ad arricchirsi è la narrativa, sia per i temi di cui si fa carico, sia per le diverse forme che è in grado di assumere».

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