Lunedì 5 dicembre, ore 12.15, IULM 6, Sala dei 146. Incontro con il Raymond Chandler Award 2022. Conduce Adrian Wootton.

dal catalogo di Noir in Festival 2022

Harlan Coben, uno scrittore da binge watching
di Michele Boroni

Diciamo la verità: se Harlan Coben non ci fosse, andrebbe inventato. Coben è l’uomo, o meglio, il talento giusto al momento giusto.

I tipi di Netflix lo hanno capito benissimo e con lui hanno stipulato un contratto piuttosto unico nel suo genere, che implica non solo di trasformare i suoi bestseller – editi in Italia da Longanesi (e in precedenza da Mondadori) – in serie e miniserie per la piattaforma (14 in totale), ma anche di adattarli nei singoli paesi dove Netflix desidera produrre i propri titoli. Quindi, se serve fare una produzione polacca, allora Coben adatta per la Polonia un suo romanzo (Estate di morte) originariamente ambientato nella contea dell’Essex; è necessario che una serie si svolga in Spagna? Nessun problema, ecco Suburbia Killer. Anche per la Francia sarebbe il caso di realizzare una miniserie thriller…voilà, Svaniti nel nulla, in origine collocato nel New Jersey, e così via. E la cosa pazzesca è che sono tutte serie di buona o ottima qualità, come del resto anche i libri.

Harlan Coben (di origine ebraica, il cognome era un Cohen mutato secondo le classiche scorciatoie dell’immigrazione e integrazione americane dei primi del Novecento) è un brillante scrittore americano di romanzi noir e thriller, nato a Newark e compagno di confraternita all’Amherst College dello scrittore Dan Brown. Uno scrittore compiutamente globale con una capacità narrativa che si presta perfettamente alla serialità.

In un certo senso, la situazione iniziale è simile per tutti i titoli: si parte sempre da una situazione tranquilla, famigliare, dove la vita scorre. A un certo punto, però, succede qualcosa che fa saltare tutto per aria: il figlio sparisce, oppure la madre, arrivano personaggi terzi che si intromettono con violenza e quindi pian piano si scopre che ognuno ha – metaforicamente, ma neanche tanto – un deposito di cadaveri dentro il proprio armadio, tutti hanno bugie da nascondere, vizi da coprire, illeciti morali e, soprattutto, un motivo per avere ucciso lo scomparso che, peraltro, si rivela diverso da come lo avevamo conosciuto inizialmente. Ogni fine episodio ha il suo bel cliffhanger, ovvero un ribaltamento di fronte della narrazione e un finale sospeso che fa venir voglia di vedere subito l’episodio successivo.

Ma il crime non è il solo elemento caratteristico nelle serie tratte dai romanzi di Harlan Coben. Prendiamo ad esempio Safe, la serie anglo-francese co-prodotta da Netflix e da Canal+ e che vede come attore principale Michael C. Hall, il protagonista di Dexter, una delle serie statunitensi di maggior successo globale.

Safe è ambientata in Inghilterra all’interno di una comunità di ricche famiglie che vivono in un quartiere circondato da cancelli per garantire la sicurezza totale. Un mondo ovattato e super protetto dove niente può succedere. Ma qualcosa invece accade, e quel qualcosa è la sparizione di una ragazza di sedici anni, Jenny, figlia di Tom Delaney (interpretato da Hall). Come succede nella stragrande maggioranza delle serie tratte dai romanzi di Coben, il crimine violento fa emergere pian piano tutti i segreti e le paranoie degli abitanti, mentre le indagini sembrano indirizzarsi di episodio in episodio verso un differente colpevole. In realtà, è un meccanismo già visto in altre celebri serie UK come Broadchurch, Happy Valley o Hinterland dove non c’è sempre il classico poliziotto che indaga e dove il più delle volte il concetto di famiglia viene scardinato.

Tuttavia in Safe, nella descrizione del contesto, c’è anche un tono più sarcastico di forte critica sociale verso le esagerazioni dovute alla ricchezza e alla eccentricità dei personaggi di contorno e che quindi stemperano la parte più crime della serie.

In generale anche le altre serie (la collezione Harlan Coben è, a oggi, composta da sette titoli) sono caratterizzate da una buona scrittura che dosa con precisione tutte le componenti, offrendo allo spettatore le informazioni sufficienti per seguire la storia e appassionarcisi, senza però darne troppe, per non diventare ridondante o prevedibile. In particolare, per le serie prodotte e ambientate in UK – come nell’ottima The Stranger –, c’è sempre un cast adeguatamente caratterizzato, anche nella scelta dei volti, capace di imprimere con facilità nella mente dello spettatore le caratteristiche dei vari protagonisti e offrire una mappa mentale dei personaggi che funziona fin da subito.

A questo poi, in tutte le serie tratte dai libri di Coben, si aggiunge uno spiccato gusto per le sorprese, i colpi di scena e lo stravolgimento di fronte: twist narrativi che, episodio dopo episodio, danno allo spettatore la consapevolezza che ogni personaggio abbia i propri segreti e che raramente le persone siano esattamente quello che sembrano.

Insomma, un canovaccio ben oliato e funzionale, perfetto per l’affamato pubblico di Netflix che aspetta ogni volta con desiderio e impazienza un nuovo adattamento dai romanzi di Harlan Coben, creatore di storie per serie di successo.