Prima della consegna del Premio Caligari, Francesco Costabile, Matteo Fresi, Pippo Mezzapesa e l’attrice Lidia Vitale hanno dialogato sul cinema di genere e sulla libertà di raccontare storie.
Articolo di Vittoria Villa

«Il genere è un luogo dove far confluire le proprie ossessioni». Parole di Pippo Mezzapesa, regista dell’acclamato Ti mangio il cuore, ospite dell’incontro tenutosi martedì presso l’università IULM. Il regista pugliese ha preso parte «virtualmente» alla vivace conversazione che ha visto protagonisti i finalisti del Premio Caligari. In sala, erano fisicamente presenti i registi Matteo Fresi (Il muto di Gallura), Francesco Costabile (Una femmina), Paolo Strippoli (Piove). L’attrice Lidia Vitale, accolta da un grande applauso del pubblico, è stata ambasciatrice di ben due titoli: Ghiaccio, diretto da Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis e Ti mangio il cuore del citato Mezzapesa.

Il noir come genere, è stato dunque il punto di partenza della conversazione. Se in Ti mangio il cuore, Mezzapesa ha sentito la necessità di approcciarsi al noir anche dal punto di vista della messa in scena (servendosi ad esempio di una fotografia in bianco e nero, ricca di contrasti); per Fresi, il genere era già nell’essenza stessa della storia.

Ne Il muto di Gallura, western e noir si (con)fondono, dando vita a una storia «sentitamente sarda», ambientata a metà dell’Ottocento che, però, arriva al pubblico di oggi grazie all’approccio a generi che dialogano con il contemporaneo. Per Lidia Vitale, la costruzione di personaggi sentitamente noir deriva dalla pulsione di rappresentare «modelli violenti che si perpetuano da secoli». Da Teresa Malatesta, austera donna del sud in Ti mangio il cuore, alla delusa e frustrata Maria, madre del protagonista in Ghiaccio, Vitale crea due personaggi che originano dalla stessa radice. Si tratta di donne che provano a prendere sulle proprie spalle la responsabilità del cambiamento, ma che devono necessariamente fare i conti con una realtà degradata e brutale.

Costabile parla del suo Una femmina (Menzione Speciale di Cinecittà News) come un’ibridazione di generi: dal melodramma all’horror psicologico, il centro nevralgico resta sempre il noir. «La realtà non mi bastava», sostiene il regista, che racconta l’evoluzione artistica della sua opera. Partire dalla Calabria, dall’Ndrangheta, per raccontare una storia spiccatamente femminile, che vede protagonista Lina Siciliano, scoperta con uno street casting ma divenuta ben presto anima e corpo che dà voce alla storia.

Piove (vincitore del Premio Caligari) poggia invece le sue basi artistiche su qualcosa di affine al noir: l’horror, definito dal regista un «genere molto libero». Strippoli, che insieme a Roberto De Feo ha firmato A Classic Horror Story (in concorso al premio Caligari 2021), anche in questo secondo lavoro conferma la fascinazione per uno stile narrativo ed estetico ben codificato che, al tempo stesso, non ingabbia coloro che vi si approcciano. Cita grandi nomi contemporanei come Ari Aster, Robert Eggers, Jordan Peele, le cui opere sono un punto di riferimento per un autore che vive l’horror come un genere «fluido», aperto a una grande libertà creativa.

Un fil rouge che sembra unire questi film è la famiglia. Famiglie in faida come accade in Ti mangio il cuore, Una femmina o Il muto di Gallura, famiglie assenti protagoniste di Ghiaccio, famiglie che rischiano la distruzione in Piove o Ero in guerra ma non lo sapevo (diretto da Fabio Resinaro, assente all’incontro). Nuclei messi in discussione da una realtà afflitta, logorata da ferite storiche e sociali. Secondo Vitale, «siamo attratti dall’oscurità» che alberga nella società di oggi e di ieri. Si va dunque altrove, come fa Fresi nella Sardegna di metà Ottocento, ma per ritrovare noi stessi anche in questo altrove, perché la violenza è insita nell’umanità. Ma è anche mediante il cinema che questo dolore può essere contenuto e domato, raccontato attraverso storie che condensano al loro interno il passato, presente e futuro del nostro paese. E che necessitano, dunque, di essere raccontate. Dopotutto, come sostiene Strippoli, «la realtà, attraverso il genere, diviene ancora più efficace».