Alla libreria Rizzoli, Gianfranco Giagni, curatore dell’edizione italiana, e Davide Ferrario parlano di Miracolo a Hollywood, una commedia di Orson Welles.
Articolo di Vittoria Villa

Miracolo a Hollywood è un «lavoro di passione» di un grande «prestigiatore del cinema». Così lo definisce John Vignola, moderatore dell’incontro che si è tenuto ieri alla libreria Rizzoli e che ha visto per protagonisti il curatore dell’edizione italiana Gianfranco Giagni e il regista Davide Ferrario. Luogo e tempo prescelti per la presentazione del testo, tra il teatrale e il cinematografico (e dunque, così spiccatamente wellesiano), firmato dal maestro Orson Welles: Miracolo a Hollywood (Sellerio), appunto, inedita commedia anni Cinquanta dal gusto satirico, mai pubblicata negli Stati Uniti.

Una storia, come sostiene Giagni, «che starebbe bene a Roma ma non a Hollywood». Perché protagonista è un regista italiano chiamato a Los Angeles per realizzare un film neorealista, incarnandone totalmente lo stile. Tanto da scegliere come personaggio principale della sua pellicola, la segretaria del produttore hollywoodiano, e come comparse dei veri malati. Che, miracolosamente (da qui, il titolo italiano), vengono veramente curati dalla sopra citata falsa attrice-santa.

Un testo perduto e ritrovato, mai pubblicato in inglese, il cui cuore pulsante è la dialettica tra religione e cinema. Un’opera che sotto questo aspetto, come sostiene Ferrario, assume un’inclinazione fortemente contemporanea. Auto-definendosi un «adepto wellesiano», il regista di Dopo mezzanotte discute con Giagni della vena satirica che Miracolo a Hollywood non tenta di celare, facendo emergere l’inconfondibile e cinica voce dell’autore di Quarto Potere.

Affiora, da questa articolata ed entusiasmante discussione, non solo la multiformità di un regista che appare difficile «ingabbiare» in un unico genere, a differenza di altri maestri a lui contemporanei (basti pensare, come citato durante l’incontro, al sodalizio tra Alfred Hitchcock e il thriller-giallo). Emerge, inoltre, un’intera mitologia nata a partire dalla frammentarietà artistica di un regista che, a detta di Ferrario, «si innamorava facilmente dei progetti, e altrettanto facilmente li metteva da parte».

Attraverso Miracolo a Hollywood, si conserva la tentazione di conoscere più in profondità un regista a tratti impenetrabile ma, proprio per questa ragione, divenuto un’icona della storia del cinema. Dopotutto, lo sostiene lo stesso Ferrario: «i miti crescono nell’incertezza». E Orson Welles, questo, lo sapeva bene.