Protagoniste delle presentazioni alla libreria Rizzoli, Cinzia Bomoll con La ragazza che non c’era e Marìa Oruña con Quel che la marea nasconde.
Articolo di Ariel Conta

Le donne sono sempre state al centro del racconto noir: colte nell’attimo che separa tenebra e luce, di una bellezza per la quale non è possibile redenzione. E questa ricchezza di sfumature viene presa in carico dalle autrici contemporanee del genere che, come un antico monile, la lasciano in eredità alle protagoniste delle loro opere.

È il caso de La ragazza che non c’era (Ponte alle Grazie), primo romanzo noir di Cinzia Bomoll (qui al Festival anche in veste di giurata del Concorso internazionale cinematografico), presentato lunedì presso la libreria Rizzoli. Una storia, come anticipato, di luci e ombre, come l’Emilia in cui è ambientata. A riguardo, dietro domanda della moderatrice Isabella Fava, racconta Bomoll: «Ho iniziato a scrivere il romanzo nel periodo del lockdown. Ed è il motivo per cui ho scelto quest’ambientazione emiliana, perché ero tornata lì dopo diversi anni che stavo a Roma. Una forma di nostalgia». E riferendosi alla protagonista del romanzo: «Ho cercato di mettere la geografia, l’ambiente, nel carattere di Nives».

Sceneggiatrice, scrittrice, regista: un’identità che naviga tra parola e immagine. Recentemente in sala con il suo nuovo film, La California, Bomoll torna a esplorare caratteri femminili immersi in una campagna chiaroscurale, questa volta preferendo la penna alla pellicola. La sua è una «passione per il raccontare sotto forma di scrittura», e  anche una «scrittura per immagini», insomma, «una passione che ha due sfaccettature diverse, due modi di vedere e di sentire le cose», sottolinea Bomoll.

Durante l’incontro, l’attrice Eleonora Giovanardi – che interpreta Palmira ne La California – ha letto due brani estratti dal libro, andando a sfumare ulteriormente i confini che separano cinema e letteratura. «Ma chi l’ha detto che l’inferno sta in basso?», si domanda Nives con la voce presa in prestito da Giovanardi, tornando a mettere l’accento su questa geografia umana tanto più confusa quanto rappresentativa di un’individualità indomita.

Caratteristiche che appartengono e pertengono anche a Quel che la marea nasconde (Ponte alle Grazie) di Marìa Oruña, per la prima volta pubblicata in Italia. Si tratta del quarto capitolo di una serie incentrata intorno a Valentina Redondo, tenente della Guardia Civil.

Come afferma la scrittrice nel dialogo intavolato con Fava, Valentina «è caratterizzata da un notevole dualismo, è una persona contraddittoria. Non volevo creare un’investigatrice super intelligente come Poirot o Sherlock Holmes, che sanno e fanno tutto, oggi sarebbero un po’ anacronistici […] sono personaggi statici. Il momento in cui si svolge questo romanzo è fondamentale: Valentina è una donna spezzata, una donna rotta dentro. E qui bisogna vedere se è in grado di sopravvivere, di affiorare in superficie, o se si lascia sprofondare».

Ancora una volta l’ambiente riflette la condizione interiore del personaggio: il delitto da cui prende avvio la vicenda, infatti, avviene su una goletta. Uno spazio sospeso tra acqua e terra, tra Natura e Cultura. A far da guida in mezzo a queste macchie d’oscurità ci sono citazioni tratte da classici del giallo: «il romanzo si articola in vari strati che il lettore scopre a mano a mano. Ho voluto intendere – prosegue la scrittrice – ogni citazione anche come una provocazione: un’allerta che trasmetto al lettore, una traccia chiave verso la scoperta della verità».

Come evidenzia Fava, prima di diventare un’autrice best-seller, Oruña era avvocato. Pratica che ritorna nella sua arte letteraria sotto forma di quelle zone lasciate volutamente in penombra e non immediatamente rischiarate: «Noi avvocati soppesiamo molto le parole, […] dobbiamo mettere la massima attenzione nelle sfumature, questo sì che mi è servito dalla mia vecchia professione».

Donne di carne e donne di carta, quelle che abitano il noir contemporaneo, arricchito di tutta una gamma di tonalità e al contempo immerso nei meandri più fitti del genere.