Foto di Aldo Umicini

Davide Rapp e Michele Boroni con C’era una volta a Viareggio rievocano l’edizione del 1992, quella che vide inaspettato protagonista Tarantino in concorso con Le Iene. Una serata di celebrazioni con messaggio finale del regista ormai entrato nella storia del cinema.
Articolo di Vittoria Villa

C’era una volta Quentin Tarantino, nella Viareggio del 1992. Grande scoperta al Festival di Cannes con il suo divisivo Reservoir Dogs, destinato a divenire un cine-cult, Tarantino presentò al grande pubblico il suo primo lungometraggio proprio in apertura del Noir in Festival di inizi anni Novanta. Questo evento, a suo modo, indimenticabile è stato celebrato domenica sera all’università IULM.

E per questa rievocazione, Marina Fabbri e Giorgio Gosetti hanno voluto al loro fianco Michele Boroni e il regista Davide Rapp. Il primo, autore di un racconto in formato blog, il secondo capace di riportare in forma di immagini quei ricordi. Così nasce C’era una volta a Viareggio, cine-documentario dedicato all’indimenticabile presenza di Quentin Tarantino in quell’edizione del 1992.

Un viaggio della memoria cinematografica di coloro che hanno vissuto in prima persona quello che è, a oggi, il sogno di ogni cinefilo: un contatto diretto (e giornaliero) con un regista che sta scrivendo la storia del cinema.

Il racconto di un Quentin Tarantino inedito, privo di quell’aura mistica che il successo planetario è stato in grado di conferirgli con il passare degli anni. Al contrario, un giovane appassionato che, a detta di molti, non si perdeva una proiezione, che adorava le retrospettive, che cadeva in ginocchio, con le mani giunte a preghiera dinanzi al regista Michele Soavi, autore di quel Deliria che tanto lo aveva appassionato.

L’attesa del grande pubblico per Reservoir Dogs era palpabile. Eppure, nessuno poteva immaginare che la proiezione a Viareggio sarebbe passata alla storia, e che il primo lungometraggio di Tarantino (ribattezzato poi in Italia con il titolo Le Iene), sarebbe divenuto un cult contemporaneo.

Gosetti lo descrive come un film fortemente teatrale, dalle tinte shakespeariane, da cui fuoriusciva la passione per maestri del cinema (da Akira Kurosawa a Jean-Luc Godard), il cui linguaggio sarebbe stato omaggiato anche in pellicole successive. D’altronde, Tarantino non ha mai celato la sua avida passione nei confronti della storia del cinema. E questa sua forte personalità da appassionato emerge dal racconto-documentario di Rapp, regalando una nuova e sorprendente versione di quel regista, il cui nome è in grado di evocare un immaginario cinematografico certamente iconico.

Neanche una Palma d’Oro a Cannes, vinta nel 1994 per Pulp Fiction, lo porta ad abbandonare il ricordo di quel Noir in Festival a cui ha preso parte emozionando(si). “Viareggio!” grida uno stupito Quentin Tarantino, quando ritrova, anni dopo negli Stati Uniti, la giornalista Elena Torre, che aveva assistito con entusiasmo alla proiezione de Le Iene nel 1992.

Nel corso della serata, Gosetti ha letto, non senza una certa emozione, un messaggio scritto dallo stesso Tarantino al Festival e ai suoi spettatori. Il regista parla di «una memoria dolce» verso un «festival che mi ha accolto quando ancora non ero nessuno». Testimonianze di un sentimento di sincera devozione nei confronti di una manifestazione che, nel suo piccolo, ha contribuito ad affermare il nome di uno dei registi cardine del cinema contemporaneo.