Maurizio de Giovanni inaugura le presentazioni alla libreria Rizzoli. In dialogo con Luca Crovi, lo scrittore ha parlato del suo nuovo romanzo.
Articolo di Ariel Conta

Piove, su Milano. È un freddo e umido sabato quello che accoglie la marea di gente radunatasi per partecipare all’incontro con lo scrittore Maurizio de Giovanni, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro Caminito (Einaudi). Tutt’altra atmosfera si respira all’interno della libreria Rizzoli: la sala è gremita, piena del vociare allegro di lettori assetati. Durante la breve attesa qualcuno riesce a isolarsi per iniziare, avido, a leggere le prime battute del romanzo o a sbirciarne, furtivo, le ultime righe.

La trentaduesima edizione del Noir in Festival si è aperta sulle note del tango che dà il nome al capitolo più recente della vita del Commissario Ricciardi, una melodia allegra su cui si poggiano parole intrise di tristezza, come rimarca – incalzato dal moderatore Luca Crovi – lo stesso de Giovanni.

E questa musica, in cui coesistono riso e pianto, dialoga direttamente con il sentimento che ha spinto de Giovanni a proseguire la storia di Ricciardi: «Una perdita è un tipo diverso di presenza […]. Il dolore non è non è che ha cessato di esistere, si è cronicizzato, da acuto che è stato per lungo tempo».

Il romanzo, ambientato nel 1939, affronta il tema della perdita e del ricordo all’interno di un presente che si fa sempre più impellente nella sua drammaticità storica. Luca Crovi e Maurizio de Giovanni intavolano così un dialogo intriso di tempo, discorso che li porta all’origine di questo personaggio che, a causa dei suoi poteri di medium, guarda contemporaneamente al passato come al futuro. Un misto di nostalgia e speranza che sembra investire anche l’autore, il quale afferma: «Scrivere di Ricciardi è diventato una priorità, perché ritenevo di aver esaurito il compito, perché da sempre, fin dall’inizio, volevo fermarmi al 1934, anno in cui questo Paese cambia, diventa qualcosa di diverso, si contrappone all’ottimismo, alla voglia di crescere, di migliorare, di uscire dalla crisi del 1929. […] Ma Ricciardi ha continuato a raccontarmi storie, ininterrottamente».

La folla è estremamente ricettiva a ogni parola dello scrittore: sobbalza, trema, sospira, ribatte. Ma quando l’autore inizia a leggere un estratto del romanzo, ecco che cala il silenzio, come in un incantesimo. La voce di de Giovanni è suadente e leggermente roca, il tono si abbassa e si alza come seguendo una partitura visibile solo ai suoi occhi. Piove nel brano di Caminito, piove nella realtà milanese, e piovono anche le parole di de Giovanni. Un romanzo è un’esperienza sensoriale, come afferma egli stesso, e con questa lettura sinestetica dimostra quanto detto solo poco prima.

«E si avviò nell’aria profumata della nuova primavera»: è così che si conclude la lettura di de Giovanni, le parole dell’autore sostituite da uno scroscio di applausi, costanti come la pioggia che tamburella imperterrita alla finestra, quasi chiedendo il permesso di entrare per rendere omaggio allo scrittore.