Intervista a cura di Cristina Diaferia ed Erika Patruno

Mentre erano ancora in corso le ultime proiezioni dei film che competono per il Black Panther Award 2023 (vinto nel frattempo da Femme), abbiamo incontrato Veronica Lucchesi (La Rappresentante di Lista) giurata d’eccellenza insieme a Jaume Balagueró e Paul McEvoy. L’artista, impegnata non solo in ambito musicale con il collega Dario Mangiaracina, ma anche letterario, con il primo romanzo Maimamma, teatrale e cinematografico, si è raccontata nel corso dell’intervista.

Per iniziare, come sta andando l’incarico di giurata e spettatrice?
Sono calata in un’atmosfera abbastanza nuova per me. Sono una grande appassionata di cinema. E trovo il noir qualcosa di interessante. È un viaggio bellissimo dentro i chiaroscuri dell’anima, sia dei personaggi che dei registi e delle registe. È un modo di pensare al cinema e alla scrittura che ti mette in un microclima diverso. Per me è un’esperienza molto importante e mi sento decisamente fortunata perché ho la possibilità di vedere autori già affermati e conoscere il loro cinema in tutte le sfaccettature; quindi, questa è una grande opportunità per fare delle connessioni anche con le persone che gravitano attorno a un festival e con i miei colleghi di giuria che sono dei personaggi fantastici. Posseggono una grande esperienza e mi introducono ancora di più in questo mondo. È un’occasione per imparare e crescere e anche per costruire un punto di vista su qualcosa che magari non conoscevo approfonditamente.

A proposito di noir, quanto sei legata al genere sia letterario che cinematografico?
Conosco il genere noir, ho letto Agatha Christie così come Daniel Pennac e conosco anche un po’ di cinematografia noir. Per me è molto interessante cogliere i diversi strati quando conosco una storia. Questo genere, soprattutto nei film che sto visionando in questi giorni, si caratterizza per i molti livelli: lo stesso personaggio può mostrarti aspetti da eroe e da antieroe, può scombinarti le carte che sono sul tavolo. C’è molto intrigo… C’è qualcosa di controverso, di contorto e, secondo me, è interessante perché così siamo fatti. Non esiste una via unica per nessuno, le strade troppo semplici non rappresentano la nostra vita reale.

Il noir può correre il rischio di spettacolarizzare il dolore. All’interno del dibattito che divide l’opinione pubblica tra la visualizzazione di immagini violente e l’oscurantismo, tu come ti collochi?
Non sono cresciuta in anni in cui le cose mi venivano nascoste. Penso all’immagine del corpo femminile tra gli anni Ottanta e Novanta. Ho sempre creduto che l’educazione emotiva fosse importante, così come un’intelligenza emotiva. Una cosa che, secondo me, è sempre buona per riuscire a tradurre qualcosa che vedo o che leggo, è avere degli strumenti a disposizione: se io osservo senza filtri qualcosa di molto crudo e crudele posso immaginare che quella sia la realtà, che così sia il mondo. Se, invece, ho delle strategie, delle possibilità per produrre una mia analisi e avere un mio pensiero critico, probabilmente riuscirò ad avere una buona corazza. Secondo me si tratta sempre degli strumenti che abbiamo a disposizione, di strategie intellettuali ed emotive utili sia per resistere che per attraversare ciò che troviamo davanti a noi. Non sono per oscurare il male che esiste, perché comunque in altre modi ti afferrerà.

Il noir ha uno stretto legame con il teatro, in modo particolare con la tragedia greca: dalla tradizione classica abbiamo ereditato eroine forti, tra cui Antigone e Medea, e le cui vicende sono macchiate dal crimine. Dalla tua esperienza teatrale cosa ti senti di dire a riguardo?
Si tratta sempre di chiaroscuri che già nella tragedia emergono in maniera evidente. Il teatro da questo punto di vista è la base di tutto, almeno per la mia formazione è stato fondamentale. Se penso alla scrittura di alcuni album, partivamo dall’idea di dare tinte forti, di fare in modo che i personaggi portassero con loro una verità e che potessero essere storie comprensibili. Quindi che in qualche modo fossero pop. La tragedia greca, per me, è un esempio incredibile di cultura pop. Nella produzione tragica si lascia sempre spazio per la catarsi. La storia non arriva mai con delle verità assolute o delle soluzioni sempre chiare. La cosa sensazionale, perciò, è che ti lascia quello spazio per metterci dentro la tua storia, il tuo passato, le tue verità, in modo tale che non sia più una storia singola ma universale. L’eredità del teatro greco, quindi, è sicuramente fortissima.

Come La Rappresentante di Lista, insieme a Dario Mangiaracina, sei stata anche protagonista di Sanremo. In merito alla diffusione di messaggi socialmente impegnati, di cui le vostre canzoni abbondano, quanto pensi che i programmi nazional-popolari possano essere un veicolo giusto?
Credo che si debba saper stare nel mondo, nonostante si provi ad essere un’alternativa. Ho sempre pensato di voler essere un’altra possibilità, perché non mi sento allineata. Quello che viene raccontato non mi rappresenta nella mia totalità. Per noi come gruppo è sempre stato fondamentale raccontare delle cose; alle volte è stato difficile perché sentivamo il carico di responsabilità, ma quello che cerchiamo di fare è schierarci. Il nostro modo di pensare lo raccontiamo dalle canzoni ai social. Per me, è importante metterci la faccia, dire quello in cui credo soprattutto perché ci sono delle persone che mi ascoltano.
Non abbiamo delle soluzioni, intraprendiamo delle strade. Siamo in costruzione. Io però mi sento un corpo politico, una donna che vive in questa società, che ci vuole stare ma che, allo stesso tempo, cerca di costruire una comunità e instaurare un rapporto di profonda vicinanza di pensiero con chi mi ascolta. Ha sempre senso parlare di quello che ci succede, di quello che ci viene imposto, di come liberarsi e resistere.

Tu sei un’autrice, una scrittrice, un’attrice e una cantante, hai mai pensato di dirigere un film?
Si, mi piacerebbe molto, ma so ancora poco di questa fantasia. Ho finito recentemente le riprese di un lungometraggio con la regia straordinaria di Margherita Vicario, che si chiama Gloria. Lì ero semplicemente nel ruolo di attrice. Nella mia fantasia c’è di tutto, ma ad oggi non avrei in testa neanche la storia. Devo ancora indagare questa possibilità, riconosco quanto il cinema sia un mezzo incredibile ma non semplicissimo. Sono sempre stata un’appassionata di teatro, ancora prima di conoscere la musica e di intraprendere questo progetto della Rappresentante di Lista. Per me il teatro è vita. Il teatro mi ha completamente cambiata e mi ha dato tutto. Mi ha fatto scoprire moltissimo di me. Il teatro è una di quelle cose che ti forma profondamente e ancora oggi se so un po’ vivere nel mondo è proprio grazie a tante cose che mi ha dato il teatro. Inviterei chiunque a fare delle lezioni di teatro perché è pazzesco, è una disciplina che ti aiuta ad avere una percezione diversa del mondo, dell’aria, del rispetto, degli occhi e dell’ascolto che è fondamentale per vivere.

In Italia, sembra esservi una scarsa attenzione e fiducia per le arti prodotte da donne. In particolare, pensando a C’è ancora domani di Paola Cortellesi e La chimera di Alice Rohrwacher, sono film accolti con una certa diffidenza, almeno nel periodo immediatamente successivo alla loro uscita. Cosa ne pensi di questa situazione?
Credo sia una tragedia. C’è stato sicuramente un cambiamento positivo nel ruolo che le donne a oggi ricoprono nel mondo dell’arte. Nonostante tutto, noi donne siamo ancora costrette a vivere nel terrore, sembra di esistere costantemente in un periodo oscuro, dove la lotta a volte si presenta come l’unica strategia possibile. È davvero disarmante. Molto spesso pensiamo che le cose vadano bene perché siamo protette dalle nostre comunità, eppure questa società ci ricorda, troppo spesso, quanto sia pericolosa, tanto da farmi perdere il coraggio e la voce…ma non del tutto. Così vado avanti pensando che la voce di queste registe (così come quella delle musiciste), possa far crescere individui sani. Anche se tutto appare insormontabile, strutturalmente ingiusto, non voglio mollare, proprio come non hanno fatto loro.

Per concludere, ti piacerebbe consigliare a chi leggerà questa intervista, un libro, un podcast o un film che parla di te in questo momento?
E una domanda difficilissima. Mi piacerebbe consigliare un testo teatrale che parli di me, di come mi sia sentita in un periodo della mia vita e, contemporaneamente, che racconti di quella che è una condizione, ahimè, vera per molte donne. Lei si chiama Ágota Kristóf, e in particolare le sue opere drammaturgiche che cito sono: La chiave dell’ascensore e L’ora grigia.