Harlan Coben ieri ha presentato il nuovo romanzo, The Stranger. Il Raymond Chandler Award ha dialogato con Donato Carrisi, a sua volta in libreria con La casa delle luci.
Articolo di Ariel Conta

«Quando c’è una scomparsa, c’è speranza. Quest’ultima è molto più interessante da trattare. Alza la temperatura emotiva così come la posta in gioco». Con questa semplice affermazione, Harlan Coben fa emergere uno dei tratti spesso trascurati del noir: la speranza. Ospite alla libreria Rizzoli della Galleria Vittorio Emanuele per l’uscita del suo nuovo libro The Stranger (Longanesi), Coben ha intrattenuto ieri una conversazione con lo scrittore Donato Carrisi – a sua volta in libreria con La casa delle luci (Longanesi) –, esplorando i meandri del genere.

«Se vi dovessi chiedere se uccidereste mai qualcuno, la risposta probabilmente sarebbe no. Ma se vi dovessi chiedere se uccidereste mai per vostro figlio, la risposta potrebbe cambiare. Dove giace la linea di demarcazione tra il sì e il no? Ecco ciò di cui mi interessa scrivere», prosegue Coben, sottolineando ulteriormente la fascinazione che da scrittore – e dunque da esploratore del carattere umano – prova nei confronti di tutto ciò che è sfumato, indefinito, al bordo tra tutto e nulla.

Dalle parole di Coben e Carrisi emerge una visione della scrittura simile a quella di un archeologo del presente: «Il nostro lavoro è immischiarci nelle vite altrui, abbiamo il permesso di origliare le altre persone. Noi scrittori rubiamo dalle loro vite e vi entriamo», afferma Coben, cui Carrisi ribatte con un’ulteriore osservazione: «Quando scrivo i miei libri, mi sembra di essere osservato e giudicato dai miei personaggi, non sempre mi piace tutto questo, è come se i miei personaggi sapessero scavare in me allo stesso modo in cui io riesco a scavare in loro».

Da una parte la pulsione di farsi spettatore della vita per trarne una storia in cui altre persone possano rivedersi, dall’altra l’inaspettata agonia di rendersi conto di essere in prima persona partecipi di quella vita che si è soliti spiare. Guardare e mostrare, due categorie che quando entrano in collisione portano a scoperte alle volte sconcertanti.

In merito a ciò, Coben sostiene che «il segreto è qualcosa che attiene profondamente alla condizione umana ed è quello su cui scriviamo. Ognuno è complesso in maniera unica, a suo modo. Abbiamo la presunzione di pensare che gli altri non possano guardare dentro di noi, ma non è così. Partendo dall’idea del segreto, del nascosto, si ottiene la partenza giusta per cominciare a raccontare una storia».

Ecco che torniamo al tema della speranza, aspetto speculare di un’emozione altrettanto potente: la paura. Desideriamo essere unici, paventiamo di essere come tutti gli altri. E a volte sono proprio le pagine di un libro a rivelarci determinati aspetti di questa duplice pulsione. Sta al lettore decidere se continuare a temere o iniziare a sperare.