I morti viventi, una storia lunga cinquant’anni
di Carmen Diotaiuti, Cinecittà News

Tutto in quella notte. Gli Zombie negli immaginari contemporanei

«Dario Argento è un Dio, il mio», annuncia Guillermo Del Toro nello strillo di copertina dell’ultimo romanzo del maestro del brivido, Horror, un libro di fiabe maledette che segna, insieme alla recente incursione nel mondo di Dylan Dog, il ritorno alla scrittura del maestro del brivido. E proprio il Dio, il "Colosseo delle storie horror", è il protagonista della seconda giornata del Noir in Festival allo IULM dove, in occasione dei cinquanta anni del film che rivoluzionò il genere horror, La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero (proiettato ieri al festival), ha risposto alle tante domande di una sala gremita e attenta, in un appuntamento in cui si è fatto il punto su un filone, quello degli zombie, capace di cambiare società e pubblico. 

Approdato al grande schermo in tre fasi, come ha sottolineato Gioachino Toni che ha tracciato l’epopea cinematografica della figura zombesca: la prima, con L’isola degli zombie del 1932, ispirata alla cultura e tradizione voodoo di Haiti, ha attinto all’immaginario dello schiavo depersonalizzato e incapace di ribellarsi. La svolta si ha nel Sessantotto sotto le mani di un esordiente Romero che trasforma lo zombie in una metafora dei rapporti sociali compromessi e del ribellismo di quegli anni, firmando il primo capitolo di una delle trilogie più famose della storia del cinema, cui seguiranno Zombi del 1978, a cui collabora Dario Argento, e che trasforma la figura in un quasi vivente in decomposizione, un soggetto senza padrone che agisce senza una chiara ragione. Da allora lo zombie è diventato un’icona complessa che ha assunto di volta in volta colorazioni e significati metaforici diversi, fino a divenire un genere di grande popolarità, protagonista anche della recente serie tv di successo The Walking Dead, tratta dai fumetti di Robert Kirkman, che appartiene alla terza fase, inaugurata con 28 giorni dopo di Danny Boyle, in cui si tende a passare allo zombie infetto, che diffonde a mo’ di pandemia la malattia, diventando anche nei movimenti sempre più veloce e vorace, in linea con la trasformazione della società. 

Perché sono tante, in realtà, le significazioni metaforiche del non morto: in lui possiamo vedere gli altri o noi stessi, l’umanità che non ha più vita o l’umanità che cerca qualcosa a cui appigliarsi, l’alterità del diverso o il frutto malato di una società che ha creato chi la porterà alla distruzione. Proprio Dario Argento, a lungo amico e collaboratore di Romero, questo immaginario ha contribuito in prima persona a crearlo, collaborando alla seconda pellicola sulla serie dei morti viventi, Zombi, per sua volontà presentata in anteprima mondiale a Torino nel 1978. Argento co-produsse il film, ne curò la distribuzione sul mercato europeo, contribuì alla colonna sonora (che nella versione europea porta la firma dei Goblin), prese parte al montaggio e ospitò Romero a Roma, dove sono state scritte molte pagine della sceneggiatura. Al Noir in Festival risponde alle tante curiosità su una delle pellicole divenuta un cult del genere horror, un film che ebbe parecchie disavventure con la censura in Italia, che ne tagliò molte scene, mentre uscì intatto sia in Francia che in America. 

Com’è nata l’idea di ambientare Zombi dentro il Monroeville Mall? Avevate già chiara la denuncia al capitalismo che è stata poi tra le letture del film?  
L’idea venne a Romero che viveva a Pittsburgh dove un suo amico nelle vicinanze aveva aperto un grosso centro commerciale. Gli chiese di fare un film per lanciarlo e lui ridendo, accettò. Così quando ci incontrammo New York mi presentò il soggetto, ambientato in questo mall spettacolare, e decidemmo di fare un film sul mercato e sul consumismo, legato simbolicamente all’immagine del supermercato. In tutti noi era molto chiaro sin dall’inizio il messaggio che volevamo trasmettere. 

Ci racconta qualche aneddoto legato al set?
Giravamo di notte, quando il centro commerciale era chiuso, approssimativamente tra le dieci di sera e le sette del mattino. Dormivamo generalmente in un hotel lì vicino, ma durante le riprese ci fu una tempesta fortissima che ci bloccò nel centro commerciale per molto tempo. Così noi siamo rimasti lì per giorni, era interessante e molto affascinante girare e poi andare a dormire tutti insieme nello stesso posto. George era molto contento di questa situazione.

Come andò la fase di scrittura del film?
Zombi è un film che Romero scrisse a Roma, dove lo avevo invitato. In realtà ho partecipato molto anche alla sceneggiatura perché andavo a trovarlo tutti i giorni e facevamo il punto su dove era arrivato con la scrittura.  

Come si decide in fase di scrittura di un film zombie in cui sono così tante vittime, chi muore e in quale momento?
È qualcosa che viene via con la sceneggiatura, a volte semplicemente perché un personaggio è cattivo e deve morire. Sul secondo episodio di Zombi, però, non ci sono solo morti, ma nascono anche amori, affetti, gelosie, e c’è molta ironia.

Ci parla della sua collaborazione al montaggio e alle musiche, da cui nacquero due versioni differenti, una per il mercato europeo, l’altra per quello americano?
L’abbiamo fatto senza pensare ad eventuali pubblici differenti, semplicemente erano due stili diversi, e attualmente in America si vendono entrambe le versioni. Abbiamo discusso a lungo per questo, ma poi lo stesso Romero ha ammesso che anche la mia versione era bella. Credo che la mia musica fosse migliore, pure il montaggio era interessante perchè un po' più corto. Romero non si interessava molto di musica, la sua era per lo più di repertorio, non era un granché. Quella che ho usato io, invece, era una colonna originale firmata dai Goblin, l’unica che si associa oggi al film. 

Dopo i film di Romero ci sono state centinaia di pellicole sui morti viventi…
Romero era seccato del fatto che ci fossero tutti quei film sugli zombie, perché un po' erano copiati, un po' cercavano di cambiare qualcosa rispetto a quello che aveva realizzato lui. Ci rimase male del fatto che lui era l’inventore degli zombie e poi tutti avevano fatto la stessa cosa. Romero è stato il vero capostipite, in realtà i film precedenti al 1968 non c’entravano niente con l’immaginario degli zombie attuali. 

Anche Dario Argento avrebbe voluto fare un film di zombie?
In un periodo della mia vita ho fatto il giro delle isole caraibiche francesi dove si dice ci siano realmente dei non morti. Per cercare di capire il fenomeno ho anche parlato con medici che curavano presunti zombie. Io non ci giurerei che fossero autentici non morti, ma effettivamente a vederli lo sembravano. Lì ho appreso anche la storia del sale, che fa ritornare la memoria agli zombie e li fa diventare cattivissimi. Avendo fatto questo lungo viaggio avevo molte idee sull’argomento, ma non ho mai fatto un film sugli zombie anche per non infastidire George, per non dargli problemi, anche se avrei fatto qualcosa più vicina alla tradizione haitiana de L’isola degli zombie che ai suoi film. 

Qual è il suo giudizio su Zombi 2 di Lucio Fulci?
C’è un inizio bellissimo, fantastico, con questa nave che arriva. Fulci l’ho conosciuto bene a un festival nell’ultimo periodo della sua vita, dovevamo fare un film insieme. Era su una sedia a rotelle accompagnato da un fan, mi sembrò assurdo che non si potesse muovere e pensai che volevo produrre un film con lui. Una pellicola che poi non si fece perché Fulci morì poche settimane prime dell’inizio riprese per un’iniezione di insulina non fatta. Una scomparsa che non fu molto rilevata né dalla stampa, né dai colleghi. Andai alla camera ardente ed ero solo. Non c’era nessuno, non venne nessuno, non c’era neanche il guardiano. Una cosa che mi ha fatto venire un certo brivido. 
Tutto in quella notte
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